19 Maggio 2025

Marco Causi, un amico e un compagno di lavoro

L’8 maggio 2025 è mancato Marco Causi. Economista, allievo di Paolo Leon, per molti anni ricercatore del CLES dove ha iniziato la sua carriera di economista. Era professore di economia all’Università di Roma Tre ed è stato Assessore alle Politiche Economiche, Finanziarie e di Bilancio nella giunta del Comune di Roma guidata dall’allora sindaco Walter Veltroni, e Vicesindaco di Roma, con delega al Bilancio e al Personale, con il Sindaco Ignazio Marino. È stato parlamentare per almeno due legislature nel Partito Democratico, ove ha assunto importanti incarichi firmando leggi e norme complesse e delicate. Negli ultimi 6 anni è stato Presidente dell’Associazione per l’Economia della Cultura, ed insieme a lui ho lavorato fianco a fianco, ritrovandoci dopo tanto tempo, per dare slancio al tema dell’economia della cultura, uno dei tanti argomenti che mio Padre Paolo Leon aveva “scoperto” e trasmesso a tanti “allievi” nel corso della sua vita. Un’eredità oggi molto viva, che va molto oltre quanto AEC abbia contribuito a suscitare dagli anni pioneristici e in oltre 40 anni di vita di lavoro e di studio.
In tanti saranno in grado di fornire un ritratto, essenziale o di dettaglio, capace di mettere in luce il contributo di Marco in innumerevoli fatti ed atti a favore del nostro Paese, perché di questo si tratta per chi, come lui, si è messo a “servizio permanente” delle istituzioni. Voglio ricordare Marco, invece, per i due lunghi tratti di strada che vanno dagli anni ‘80 fino alla metà degli anni ’90, e dal 2019 ad oggi:

  1. i primi, costituitivi per Lui quanto per me, rappresentano gli anni del CLES srl nei quali Marco è cresciuto e maturato come economista;
  2. i secondi ritraggono, invece, gli anni della “legacy”, di AEC, dei molti libri che ha scritto su Roma, sulla cultura e sull’economia.
    Se comincio dalla fine, è solo per mettere in risalto la generosità e l’impegno che Marco ha prodigato per dare forza a me e a tutti i membri di AEC a reinvestire tempo e risorse nella rivista Economia della Cultura, nell’idea ferma che la conoscenza è centrale per migliorare lo stato della collettività cui tutti apparteniamo. A costo di sembrare retorico, ma trasformare la retorica in valore condiviso era anche una piena convinzione di Marco, la cultura (e l’economia) è strumento di democrazia, di libertà, di equità (potrei dire di “eguaglianza” ma su questo discutevamo), ma anche di “fraternité”. La fraternità è uno degli alti principi posti alla base delle istituzioni democratiche. Concetto di derivazione francese ma presente implicitamente anche nella nostra costituzione, è forse il principio più bistrattato e messo all’angolo dalle grandi trasformazioni antropologiche della società contemporanea e persino dalla sinistra cui Marco stesso apparteneva. Lo spazio collettivo nei suoi elementi di amicizia, affetto e solidarietà, così vivo negli anni ’80, ha marcato le nostre vite, nonostante il riflusso successivo, ed è sopravvissuta sotto traccia. Mi riferisco ad un tipo particolare di fraternità di Marco: in altri termini la collaborazione tra persone quando essa si trasforma in comunità. Non era solo un’attitudine, un aspetto del carattere, una soft skill come usa dire oggi. Era una pratica quotidiana del CLES, dove le relazioni interpersonali, di progetto in progetto, richiedevano condivisione e gerarchia, un ordine naturale dove i ruoli erano funzionali alla riflessione produttiva e alle idee. Non sempre era facile partecipare dando un contributo quando avevi a che fare con Paolo, con Marco, con Pietro Valentino e tanti altri. L’asticella era per i giovani come me altissima, irraggiungibile. Il lavorare insieme però dava equilibrio ed era stato assorbito da Marco (e da me), grazie soprattutto a Paolo Leon, che dall’alto della sua intelligenza inarrivabile ci invitava alla scoperta, e soprattutto a non guardare alla realtà semplificando, nel pieno rispetto di tutti. Il lavorare insieme, in team, in gruppo, unisce e stimola le idee e l’elaborazione. In fin dei conti, fraternità intesa come comunità, quando funziona, spinge a migliorare sé stessi e gli altri.
    Ciò si traduceva poi in “metodo”. Come felicemente espresso dal Sindaco Gualtieri durante la commemorazione in Campidoglio, i numeri per Marco non sono mai “cifre”, ma “strumento di conoscenza” e soprattutto fondamento della decisione e delle politiche a favore di tutti i cittadini. Non era facile, affatto, tradurle in qualcosa. Anche quando la teoria svaporava, le idee vacillavano, la sensazione di sconfitta era seria, lì si tornava, e lì si ricominciava. Ricordo Marco che anche quando i contenuti del Report non erano
    convincenti, confidando nelle sue enormi capacità di lavoro era capace di raccogliere tutto il materiale e di passare una notte insonne e arrivare la mattina della consegna con un testo fatto e finito, dove si faceva fatica a riconoscere il contributo di ognuno. Certo, i tempi non erano mai rispettati, la tabella di marcia era tutta personale, a volte non si capiva quale fosse il compito assegnato, ma alla fine Marco non ti faceva pesare niente, mai, e si rimaneva colpiti, veramente, dal risultato finale. Tra le sue innumerevoli “prove” ricordo i tanti progetti di analisi costi benefici come quello delle residenze e collezioni sabaude del 1989, su cui ci siamo fatti tutti le ossa, e forse ancora di più le analisi macro-economiche annuali per conto di Lega Coop sulla legge finanziaria, o le varie edizioni del Rapporto sull’economia romana per conto del Comune di Roma, o infine l’assistenza tecnica alla Commissione Europea per sostenere la trattativa con la controparte italiana per la programmazione dei fondi europei 1994-1999. Per quanto riguarda me e Marco in particolare, a metà degli anni ’90, ricordo l’elaborazione del Piano del lavoro dell’Umbria, un grande affresco programmatorio in un ambito che aveva richiesto conoscenza e attenzione multidisciplinare, dall’amministrazione e il diritto, alla programmazione economica, e ovviamente al mercato del lavoro. Un Piano radicato in precise strategie settoriali di medio e lungo termine. Quel lavoro mi ha preparato a praticare sempre più l’interdisciplinarità, un aspetto che si è rivelato gravido di conseguenze per il mestiere e la professione di economista negli anni successivi.
    Oggi quel tipo di lavoro sarebbe impensabile: in un contesto di programmazione economica improntata tutta sulla “meccanica”, spesso privata di visione e di una seria strategia d’area e tematica, siamo molto distanti dal pensiero e dagli standard minimi di Paolo Leon che, in assenza di un’idea di sviluppo locale, non sarebbe stato mai possibile superare la stagnazione economica, l’impasse, del Paese. O meglio è possibile perseguire con successo azioni più limitate e concrete come l’E-social card progettata da Daniela Pieri e Paolo Calbucci, quando Marco era Assessore al Bilancio alle soglie del 2000, che è sostanzialmente la CIE di oggi, uno strumento che racchiude e intreccia diritti universali, informazione e partecipazione attiva dei cittadini alla cosa pubblica, un rimedio per Marco e per Leon allo scollamento sempre più ampio tra politica e cittadini. Perché a volte, non sembra, ma tutto si tiene anche con idee semplici ma mirate.
    Il CLES è stata dunque una grande palestra che ha preparato Marco agli anni successivi immersi nella politica. Trovando un mestiere, quello dell’economista applicato, che non è solo tecnica o gestione degli interessi, dei quali è sempre necessario tenere conto in una società complessa come quella contemporanea. Manca un riconoscimento formale e sostanziale del merito scientifico di questa particolare professione di cui Marco è stato uno dei più alti interpreti. Tale riconoscimento non può riferirsi esclusivamente a quanto riportato nelle riviste scientifiche, nelle monografie o nei Report e nei testi che accompagnano le programmazioni. Il meglio spesso sta fuori, non è visibile, è conoscenza esclusiva in chi ha redatto i documenti e in chi li ha incaricati. E questo è un gran peccato, perché ciò che non è codificato è difficile da trasmettere e l’Accademia, nonostante tantissimi docenti abbiano avuto esperienza diretta nell’amministrazione pubblica come Marco, non è stata capace ad oggi di individuarla, di conservarla e di stimolarla. È come militare nelle serie minori della pratica sportiva: ma senza gli economisti applicati (e allargherei anche ad altre discipline come quelle aziendali, amministrative, sociologiche, ecc.) non si governa bene un paese.
    Vorrei infine ricordare che Marco non era solo. Una vasta cerchia di persone, che non nomino perché sono troppe, costituiva un bacino intellettuale da cui Marco attingeva idee o collaborazioni. Non si tratta di quanto Marco abbia fatto per conto di ognuno di essi, ma quanto abbia sempre assicurato una disponibilità sempre imparziale e disinteressata e un’attenzione umana e personale a chiunque la chiedesse. E, devo dirlo oggi, perché Marco aveva chiaro che il tempo era relativo e quello a sua disposizione non era molto, e più volte era tornato sulla temporaneità e la caducità del vivere, che bisognava pensare anche a trasmettere ad altri per tempo, che era stanco ma non arreso.
    Infine, devo a Marco anche l’avere organizzato il Premio titolato a Paolo Leon in collaborazione con il Centro Sraffa e incardinato con l’Università di Roma Tre, arrivato alla sua sesta edizione. Un altro “segno” di quanto
    Marco fosse grato al suo “genitore” intellettuale e a tutti noi del CLES. Senza di lui e senza Antonella Palumbo e Roberto Ciccone, forse non avrei intrapreso questa strada.
    Alessandro F. Leon
    Roma, 15.05.2025